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Borraccia, racconti d'estate

2020-09-21 15:53

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Bambini, News, Adulti, Giovani,

Borraccia, racconti d'estate

Nove testi e nove audio per un cammino virtuale in compagnia della borraccia, una compagna di cammino nelle nostre estati!

PRIMO RACCONTO

 

La mia storia ha inizio in una fredda sera di gennaio. La riunione era appena finita e la porta del Patronato era già stata chiusa.

In quel preciso momento mi trovavo avvolta in una mano. Ero da poco tornata da un’uscita e recuperata da uno scaffale delle sedi scout, come succede spesso ad una vecchia borraccia.

Tra le persone che stavano con me, all’improvviso ecco saltar fuori una proposta, come un ospite inatteso, come una lucciola d’inverno o uno sbuffo di calore nel gelo: “Che ne dite di fare un campetto di qualche giorno con i bambini di seconda e terza elementare?”

Le catechiste si guardavano tra loro stupite: c’era questo prete nuovo e simpatico e c’erano loro, che si conoscevano a malapena e stavano ancora cercando di capire come fare catechismo, come essere catechiste.

Nel gelo della sera, lo sbuffo di calore si allargava e con esso si faceva largo il coraggio: “Perché no, dai ci proviamo, chiediamo le ferie e vediamo”.

Dopo quella sera ebbero inizio incontri serrati: tante cose da preparare, il tema da scegliere, i giochi, i laboratori da fare con i bambini.

Uscivano strani nomi  delle tribù indiane e vecchi costumi con le piume, si stabilivano in dettaglio tutti gli orari. Tutte le persone coinvolte erano alla ricerca dei materiali per i laboratori, per il segno da lasciare ai bambini. E ancora si cercava un nome per ciascuno di loro, come fanno gli indiani, una qualità che parlasse della ricchezza di ciascuno.

Anche i giochi, decisi nei dettagli e le celebrazioni preparate con cura: una tovaglia con le impronte delle nostre mani sarebbe stata la nostra firma, il simbolo della partecipazione di tutti i bambini.

Presto gennaio è diventato giugno…

E’ quasi ora di partire e, insieme a loro, sento forte la trepidazione, il desiderio di vivere questa avventura e la paura dell’ignoto… accompagnare cinquanta bambini, che in qualche caso non hanno mai dormito una notte fuori casa, e far sì che sia una bella e significativa esperienza per loro, non è facile…

È il primo campo di questa lunga estate, e stavolta parto insieme a tutto il materiale, tra tondini di legno, piume colorate, pacchi di sale fino e gessetti, piccole pietre e perline.

Io sono una borraccia, contengo l’acqua che disseta. E sono qui con il sale e le perle.

I miei compagni di viaggio mi ricordano qualcosa, qualcuno che parlava di acqua viva, di essere sale della terra e di una perla preziosa.

SECONDA PUNTATA

 

Ecco, ci risiamo… la scena è sempre la stessa!

Sono appena tornata da un piovoso, ma divertente campo con bambini del catechismo, e dopo pochi giorni di riposo, capisco che è di nuovo il momento di ripartire per nuove avventure.

Osservo trepidante lo spiraglio di luce che entra dalla toppa della chiave del cassetto dove sono riposta, quando il fischiettio spensierato del mio compagno di viaggio viene interrotto da una voce preoccupata: “Hai messo tutto nello zaino?”.

Alla vigilia della partenza per il campo con i ragazzi più grandi, la scena si presenta sempre uguale: da una parte chi è attento a non dimenticare cellulare, power bank, carte da gioco, caramelle, ciucci vari…. dall’altra chi controlla che ci siano: maglione, maglione di ricambio, felpa, felpa di ricambio, impermeabile, impermeabile di ricambio, antipiretici, antidolorifici… al centro una dettagliata lista fornita da qualche volenteroso organizzatore di campi estivi.

Ed io lì, che spio dalla fessura, destinata come sempre ad essere l’ultima. Ultimo oggetto recuperato in occasione del primo campetto e ogni volta l’ultima ad entrare nello zaino, perché, tanto della borraccia non ci si può dimenticare, solo all’ultimo la si riempie di acqua fresca.

Eppure una parola ci sarebbe per evitare tutto questo: E-S-S-E-N-Z-I-A-L-I-T-À.

Andrebbe scritta in cima alla lista. Da sola basterebbe per imparare a scegliere solo ciò che serve veramente. E io allora verrei subito dopo, semplice contenitore, leggero, indispensabile, una sorta di specialista del vuoto che solo uno zampillo ben calibrato riempie in modo efficace.

Il cassetto si apre. Una mano mi afferra. Nella stanza il mio compagno di viaggio è solo, mi guarda, mi riempie d’acqua fresca, mi ripone nello zaino pronto. Attorno a me solo cose utili e preziose per la sopravvivenza. Partiranno con noi relazioni, gesti, parole familiari che da sempre fanno parte del bagaglio, ma viaggiano in un posto speciale.

La scena è cambiata: nessuna interruzione al fischiettio spensierato di chi ha imparato a scegliere, consapevole che se manca qualcosa c’è qualcuno su cui fare affidamento.

A viaggiare leggeri si impara un po’ alla volta…

TERZA PUNTATA

 

Eccomi di nuovo qui. È passata da poco l’alba, il cielo è rosa e azzurro, ci sono poche nuvole che sembrano sbuffi di panna montata, in questa prima mattina d’estate.

Osservo il cielo dal basso, quasi al livello del terreno, lasciata insieme allo zaino sui gradini di fronte alla chiesa. Lei, si staglia maestosa, illuminata poco a poco dai primi raggi del sole che sale come ogni giorno dietro agli alberi del grande parco della nostra Villa.

Ad ogni partenza, quando mi trovo in mezzo a bambini che scorrazzano eccitati, adolescenti assonnati, genitori più o meno sollevati, animatori e capi scout pronti e preparati… beh, mi chiedo sempre cosa starà pensando la nostra chiesa nel vederci partire.

Chissà quali emozioni la riempiono, mentre ci osserva in questi momenti. Un po’ più vuota, un po’ più silenziosa e tranquilla, chissà se si sente triste e sola o se paziente ci custodisce nel suo cuore, mentre siamo impegnati altrove?

L’ho vista quando sono arrivata e il mio compagno di avventure ha appoggiato lo zaino contro il suo possente muro rosso e bianco. Ha aperto un occhio, appena un po’ accecato dal sole. Magari penserete che abbia sbuffato, un po’ infastidita da tutto quel trambusto, da questo improvviso risveglio in quello che sarebbe stato un altro sonnacchioso mattino d’estate.

Invece, con un po’ di sorpresa, l’ho vista aprire volentieri le sue pesanti porte di legno come un cordiale sorriso, che molto assomiglia a quello delle persone che se ne prendono cura tutti i giorni, per tutto l’anno. Insieme a loro, lei, la nostra chiesa, è lì… ci guarda partire anche questa mattina, ci osserva bonaria e stabile, punto di partenza e di arrivo delle tante avventure che riempiono l’estate.

Dall’alto della sua possente facciata, fino ad ogni singola piccola fiammella che la illumina all’interno, ho proprio capito che è felice di vederci partire, perché ogni esperienza estiva è il punto di arrivo di un lungo anno di incontri, che spesso portano bambini e ragazzi a sedersi fra i suoi banchi di legno, durante le messe, gli incontri del catechismo, le veglie, il Triduo, il Grest… è felice di vederci partire, perché riconosce che anche se siamo lontani, queste avventure sono anche un nuovo punto di partenza: esperienze indimenticabili che rinsaldano le relazioni.

“Forza ragazzi!”, sento dire ad uno degli accompagnatori... mi sento sollevare insieme allo zaino, stiamo per salire sull’autobus.

Con la coda dell’occhio guardo la nostra chiesa, le vorrei dare un bacio, come si fa con la mamma prima di partire… lei mi strizza l’altro occhio, ora anch’esso illuminato dal sole.

La sento sussurrare: “Mi raccomando, borraccia, te li affido!”

Poi guarda loro, col suo largo sorriso rassicurante: “Buone avventure, Chiesa di Dio!! Io sono qui che vi aspetto!!!”

 

QUARTA PUNTATA

 

Siamo in cammino da qualche giorno, ormai, sono legata ad una cinghia dello zaino, e da ore sto sbatacchiando, fra la gavetta e il gavettino, le stoviglie da campo che fra non molto saranno riempite di cibo caldo e di un po’ della mia acqua fresca, ristoro meritato dopo una lunga giornata di strada.

Ho aggiunto delle ammaccature alla mia già discussa forma fisica, a causa delle varie sbadataggini del mio proprietario. Un colpo gli cado, un altro vengo agitata per aria, un altro ancora vengo scordata in qualche angolino e recuperata all’ultimo minuto. Però, lo devo ammettere, mi ha coinvolto in mille avventure... se ci pensate, io sono sempre al suo fianco... o meglio, sul fianco del suo zaino, ma il concetto è lo stesso.

Da lontano si cominciano a sentire i rumori di un temporale. Questa volta ce la caveremo, il rifugio è in vista, lontano solo qualche centinaio di metri, ma la mia testina di plastica non riesce a non ricordare un episodio epico successo non moltissimi anni fa: un lungo viaggio a piedi, un confine attraversato, uno zaino inzuppato e un temporale molto simile a quello che si sta scatenando oltre la cresta della montagna che ci sta di fronte.

Solamente che quella volta non c’era un tetto solido di tegole, né uno meno solido di paglia, a coprirci la testa, ma solo una misera tendina da campeggio, mal impermeabilizzata, per giunta.

Era il primo giorno di cammino e dopo essere partiti di buon’ora dalla parrocchia di uno sperduto paesino austriaco, i ragazzi cominciarono il percorso del giorno, ma (come avrebbero presto capito) il tempo aveva deciso di non collaborare.

Infatti, per augurare loro il buon giorno, il cielo decise di cominciare la giornata con una pioggerellina leggera leggera. Ciononostante, con la temerarietà che contraddistingue la loro giovane età, decisero di non perdersi d’animo, continuando allegramente la loro strada.

Il tempo non vide di buon occhio quel loro affronto… e man mano che avanzavano nel cammino, un passo dopo l’altro, il vento, l’acqua e il freddo diventavano sempre più intensi.

Fu così che si ritrovarono ad avanzare sotto una pioggia che andava peggiorando di minuto in minuto finché, finalmente, non arrivarono alla loro destinazione: un adorabile rifugio che, tuttavia, non li poté ospitare per la notte, in quanto privo di posti letto.

I nostri sconsolati e fradici ragazzi si guardarono negli occhi, fecero un respiro profondo e tornarono all’aperto a montare le tende.

Fu una notte lunga e sofferta, e ogni tanto, pure io, che sono una vecchia borraccia, mi sono chiesta: “Ma chi me l’ha fatto fare??”

Fortunatamente, come tutti i momenti più difficili, anche il temporale passò.

Di certo, voi che leggete, vi domanderete cosa c’è di bello in tutto questo…

Domanda lecita, non posso negarlo, ma la risposta è che nonostante la partenza disastrosa, il primo sole visto alla fine del quarto giorno e l’aver trovato il bellissimo castello, meta desiderata del nostro cammino, con la facciata coperta dalle impalcature, il mio proprietario, come d’altronde io, ricordiamo con un sorriso quell’ avventura grazie alle persone con cui è stata condivisa, come la ragazza vestita da pescatore di tonni, l’uomo con l’ombrello e il ragazzo che faceva le foto con le mucche (e uno strano tipo con un fischietto da naso).

Quindi, secondo me, umile borraccia, l’importanza dell’ estate non è tanto dove, come o con quale tempo atmosferico, ma con chi decidiamo di spendere il nostro tempo, per creare nuovi ricordi, perfetti nella lor imperfezione.

QUINTA PUNTATA

 

Si parte anche oggi, chissà per quali luoghi, per quali avventure e chissà con chi. Il bello, sta proprio nel lasciarsi sorprendere… Presa, riempita d’acqua e via!!!

Stavolta però nessuno zaino con noi… Si sale in bici, poca strada e già siamo arrivati. Siamo vicini alla nostra chiesa, in luogo caro a tanti bambini, ragazzi e adulti, luogo di molti incontri, molte attività: il Patronato!

Incrociamo subito sguardi già noti, voci già sentite e molto altro di già conosciuto dal mio compagno di avventure.

Iniziano subito i “ciao”, le mani che “si danno il cinque”, le parole e le risate scambiate.

Ma è quando vengo appoggiata  sopra ad una panchina che inizia una cosa nuova, che proprio non conosco.

C’è una grande rete che divide a metà un campetto di sabbia e due gruppi di persone disposte ben bene, ognuno in un posto preciso, al di qua e al di là della rete. Non ci sono solo giovani, come di solito capita. Tutte insieme tante persone di diverse età.

La voglia di lanciare la palla nel campo dell’altra squadra e segnare un punto è grande, si percepisce in ognuno di loro, sia il giocatore più o meno giovane, ma di certo quello che più traspare è la loro voglia di divertirsi.

Ci sono anche tanti bambini. Passano, si fermano per qualche momento di tifo, ma poi, poco più in là, c’è una rete in un altro piccolo campetto e anche due canestri, dove giocano altri bambini e ragazzi.

C’è profumo di amicizie, vecchie e nuove.

Le risate si sentono provenire da diverse angolazioni. Qui sembra stiano tutti assaporando il semplice fatto di stare insieme, gustando una partita, intensa, combattiva… ma spensierata.

Ed è ecco che un’esplosione di gioia segna la fine del match. Non capisco bene chi siano i vincitori, ma sentendo leggere una sorta di classifica, i nomi fantasiosi che identificano le varie squadre capisco da dove può arrivare tanto divertimento!

Ci sono tanti gruppi e ognuno porta allegria e il proprio affiatamento per rendere questa estate bella e condivisa!

Tra un sorso d’acqua dissetante e l’altro, ci dirigiamo così verso una porta. È quella del NOI, il bar del patronato.

Mi è capitato di entrarci, di ritorno dai campi o alla fine delle varie attività, ma stasera lo ritrovo pieno di vita. Riconosco le persone dietro al bancone, indaffarate nel portare vassoi carichi di bicchieri e bottiglie ai tavoli, all’interno e all’esterno del bar. Ogni volta trovo sempre qualcuno di diverso che, indossato il grembiule del “barista”, interpreta quel ruolo con il proprio sorriso e la propria gioia di esserci per aprire le porte, accogliere chiunque e offrire un luogo che sa di “casa”!

Chissà cosa li spinge a mettersi così a servizio...

La serata finisce, ma come questa se ne ripetono tante altre.

Si alternano le persone che, tra partenze e ritorni dai propri cammini, possono ritrovarsi qui, semplicemente con il piacere di essere e vivere la Chiesa.

SESTA PUNTATA

 

Dopo qualche giorno a casa e un po’ di meritato riposo, sono stata afferrata in fretta e furia, riempita d’acqua e caricata di nuovo nello zaino. Direzione sconosciuta, ma avevo già era chiaro che avrei sbatacchiato per qualche altro giorno sul fianco di un nuovo zaino.

Scendiamo dal furgone dopo un lungo viaggio, fra canti, risate e qualche sonno ristoratore… scorgo un cartello stradale, di un blu ormai sbiadito dal tempo e dal sole. Ho la vista un po’ annebbiata, dopo aver sonnecchiato nel buio del bagagliaio per tutte quelle ore, ma piano piano la scritta diventa nitida: POGGIOBUSTONE. Chissà dove sono finita?

Tuttavia, dalle poche indicazioni che danno gli animatori capisco che il percorso di questa giornata di cammino ci porterà verso Greccio… e questo luogo, in realtà, l’ho sentito nominare tante volte, poiché si dice che proprio in questo piccolo comune della Valle Reatina, San Francesco diede forma al primo presepio.

Partiti di buona lena, sempre lasciandomi appesa a sbatacchiare, il cammino si presenta variegato e divertente, un po’ in discesa – il che non guasta, fino a che le ginocchia dei camminatori reggono!

Ma poco a poco questa discesa si trasforma in una spianata dritta… in quel momento non sapevamo che così sarebbe rimasta fino a sera: piatta e monotona.

La calma piatta comincia a trasformare il gruppo, da felice, contento e baldanzoso, a silenzioso. Il sole cocente un po’ alla volta toglie ai ragazzi la voglia di scherzare e di parlare.... l'unica cosa che si sente è la fatica, che cala pesante, fra gocce di sudore e gli innumerevoli sospiri. Anche io, piano piano, comincio a sentire la temperatura che sale… l’acqua è quasi finita e quei pochi sorsi che contengo hanno già perso tutta la freschezza del mattino.

Nel piccolo gruppetto che chiude la carovana, la stanchezza si fa largo con più forza e così i ragazzi decidono di fermarsi qualche minuto a riposare… poco lontano, un prato, una fontana e un po’ d’ombra li accolgono. Un luogo di ristoro lungo la via, per poter mangiare e bere quel poco che rimane nelle sacche.

Ma si sa, la stanchezza non è mai troppa nei giovani: si guardano negli occhi, qualche battuta e un paio di scherzi risollevano gli animi. Dopo tanta fatica sotto il sole a picco, basta davvero poco per ridare loro la carica… un sorso della mia acqua e si è di nuovo in cammino verso la nostra meta.

 

SETTIMA PUNTATA

 

Ci sono periodi in cui sono lì, tranquilla e pacifica, in mezzo alla confusione del materiale per la montagna. Sto lì insieme ai vari zaini, ai bastoncini per la camminata, al kit di pronto soccorso, al gavettino, al coltellino e al bicchiere in alluminio, chiusa nell’anta dell’armadio in canonica. Con gli altri “colleghi” ci godiamo un po’ di meritato riposo. Sì, perchè quando arriva giugno non ho - e non abbiamo - un minuto di pace.

I preti cosa fanno? Si inventano insieme con gli animatori, i catechisti e tante altre persone con un cuore grande come una casa, di fare esperienze su esperienze con un sacco di bambini, di ragazzi, di giovani e non solo. In montagna e al mare, in Italia e all’estero. E io, che ormai ho diversi anni, cosa posso fare se non continuare nel mio piccolo e silenzioso servizio?

Non ci crederete, eppure essere la “borraccia del don” è un’esperienza! Lo sto accompagnando da quando è entrato in seminario perché sono stata il regalo che i suoi genitori gli hanno fatto per il primo campo da seminarista. A volte credo che mi tenga ancora come una sorta di porta fortuna. Ho un sacco di ammaccature e non tengo più benissimo la temperatura eppure mi porta ancora via con lui.

Ho conosciuto in questi anni ormai centinaia, anzi, oserei dire migliaia, di persone. Le ho conosciute in particolare nei momenti di fatica, sulle cime delle montagne, quando le altre borracce erano vuote e il don teneva lì un goccio d’acqua in più per i più piccoli perchè si ricorda (strano!) che l’acqua non è mai abbastanza. Non è mai abbastanza soprattutto se li fanno camminare così tanto, quei poveri ragazzi.

Uno alla volta, iniziano a dire con la voce stanca: “Dooooon quanto manca?”, “Dooooon ci possiamo fermare?” Oppure “Doooon, ho sete” e questo è il segnale: siamo arrivati alla frutta!! Se non ci si ferma si corre il rischio dell’ammutinamento!

Però, prima di bere, il prete furbastro cosa fa? Tira fuori dallo zaino la cioccolata o le caramelle! Dice che lo fa per dare più forza ed energia ai ragazzi... in realtà, credo che lo faccia soprattutto perchè è contento nel vedere i loro volti sorridenti.

Mi piace molto quando al posto dell’acqua mette il thè caldo: ormai lo conosco, significa che la partenza è alla mattina presto, ancora col buio per andare a vedere l’alba. E non importa se sia in riva al mare a Sottomarina o su un prato di montagna, l’alba resta sempre un momento magico per i ragazzi e per gli adulti. E lo è anche per me, che sono lì con loro e che non vedo l’ora di portare un po’ di allegria o di calore!

E quando, alla fine dell’estate, mi rimette nell’armadio, porto con me tutte le emozioni delle avventure vissute… ma vi dirò di più, una volta, lavandomi bene e riponendomi, mi ha confidato sottovoce: “sai borraccia, anche per quest’anno che comincia ci sono nuovi sogni e desideri che bollono in pentola! Non vedo l’ora che  cominci!”... e vi assicuro, che non vedo l’ora di poterli vivere anche io!!!

OTTAVA PUNTATA

 

Quando un campo finisce, sull’autobus o sul pulmino che torna verso casa i visi sono stanchi, molti dei ragazzi si addormentano abbandonati sul sedile, felici e sfiniti per le tante, troppe emozioni vissute.

C’è ancora chi suona la chitarra, chi canta forte, chi canta a mezza voce, con nostalgia delle notti passate con il naso all’insù, gli occhi persi nel cielo di velluto nero e il cuore pieno di desideri da poter consegnare alle stelle.

In questi momenti, in cui per fortuna ho smesso di sbatacchiare in giro, ho il tempo di osservarmi: sicuramente ci sono un’ammaccatura o uno striscio in più. Sulla mia vernice blu scuro grattata per rivelare l’alluminio di cui sono fatta, questi segni creano un disegno, come una carta del cielo. E ad ogni costellazione corrispondono un’avventura e un’emozione. E ad ognuna di loro ho dato un nome…

C’è la costellazione del Leone, che rappresenta il coraggio, e che mi ricorda quella volta in cui sono rimasta sveglia tutta la notte con un bambino di seconda elementare, che anche se sentiva nostalgia della sua mamma e del suo papà, si è impegnato a vivere il campo divertendosi il più possibile! C’è la costellazione della Chitarra, che rappresenta l’allegria delle serate passate davanti al bagliore del fuoco, cantando a squarciagola, fino a che il mio intervento diventa necessario… perché la voce cristallina lascia il posto ad un rauco mal di gola! C’è poi quella che io chiamo la costellazione del Sasso. Lo so che è un’idea un po’ strana, ma a me ricorda la rabbia o la tristezza di quando si litiga con un amico e ci si allontana in mezzo al bosco, magari vicino ad un torrente, per poter ascoltare il gorgogliare dell’acqua, lanciare qualche sassetto per farsela passare e tornare a stare bene insieme.

C’è una costellazione importante, che simboleggia la condivisione: è quella che chiamo la costellazione del Pane e del Vino. Un momento che per me è speciale è la celebrazione della Messa ai campi, spesso in posti bellissimi ed impervi. Di solito il don mi fa riempire di acqua fresca e mi mette sull’altare un po’ traballante. Mi piace pensare che se resta in piedi,

è solo grazie alla forza dei legami di tutti quelli che sono seduti intorno.

C’è n’è una ancora, fra le tante, a cui tengo particolarmente, è una sfilza di ammaccature disordinata. Io la chiamo la costellazione dell’Amore, perché mi ricorda tutte le volte che un educatore mi ha preso in mano e mi ha affidata ad uno dei ragazzi per bere un sorso o per risciacquare una piccola ferita. La chiamo così perché mi ricorda che se i ragazzi possono

vivere tante stupende avventure, è anche perché c’è qualcuno che li ha a cuore e che mette tutto se stesso per renderli felici.

Sono tante le costellazioni di cui vorrei ancora parlarvi, ma sento che c’è agitazione in autobus… mi pare di capire che stiamo arrivando a casa e questo significa che, ahimè, l’estate sta finendo.

Io mi guardo le ultimissime striature che rivelano l’alluminio argentato… sembrano delle piccole stelle cadenti. Rappresentano il mio più grande desiderio: quello di poter presto tornare a passare di mano in mano, vivendo nuove entusiasmanti avventure!

NONA PUNTATA

 

Forse a volte anche a te, come a me, è successo di giungere ad una meta che credevi definitiva e che in realtà ti sei subito accorto costituiva solo una tappa, una ri-partenza.

Beh, se non l’hai ancora capito, io sono una borraccia molto vecchia, molto girovaga e spesso “condivisa”. Gli anni che passano mi hanno vista presente a molti campi estivi, a gite e uscite tra amici, ma anche in avventure solitarie in Italia, come ad eventi di migliaia di persone all’estero.

Recentemente le mie uscite sono state un po’ più rade, ma di certo anche più speciali: infatti da borraccia-di-una-persona, sono stata promossa a borraccia-di-famiglia. Ho così scoperto un modo nuovo e diverso di essere utile: utile per un gruppo, un insieme, una collettività! E non solo. Visto che da sola non ce la facevo ad essere utile a tutti - mi era infatti impossibile dissetare le bocche di genitori, figli e fratelli - è stato ancor più speciale incontrare, conoscere e legare con altre borracce.

Non nascondo che fino ad allora mi ero sempre sentita unica e insostituibile per il mio “padrone” e questo mi faceva provare una profonda indispensabilità e una totale gratificazione. E invece mi sono dovuta ricredere: da sola andavo veloce, insieme alle altre borracce siamo riuscite ad andare molto lontano.

E questo cambio di prospettiva, questo lavorare insieme ad altre borracce, mi ha davvero fatto bene. Tanto più che qualche sera fa ero in Patronato, certo ancora chiuso, ma da sempre attento a creare occasioni e possibilità per stare insieme. Ero nella borsa porta computer, per una delle mie rare uscite durante i tempi lontani dai campi e sentivo proposte di cinema all’aperto, di cene in sicurezza… insomma nuova voglia di stare insieme con nuove modalità. E ad un certo punto vedo installato nel Circolo, uno sfavillante erogatore e di fianco ad esso, decine e decine di altre borracce con il logo NOI-PIAZZOLA.

Mi si è fermato il “tappo nel collo”!! In un attimo la prospettiva grigia di un vuoto inverno, si è trasformata in colorati riempimenti di acqua filtrata e di bollicine; ogni sera un’uscita, ogni riunione un pieno, ogni incontro un “brindisi”.

 

Alla fine di questo mio racconto, vi devo dire che è proprio vero: non ci sono mete definitive, solo ripartenze!

E voi, siete pronti a ripartire?

 

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